Perché insegnare l'intelligenza artificiale a scuola

“But there is a world of difference between what computers can do and what society will choose to do with them.” -- Seymour Papert, 1980 - Mindstorms

Sul rapporto tra uomini e computer

Prima di parlare di didattica dell’intelligenza artificiale (IA) ritengo utile fare una digressione iniziale sul rapporto che intercorre tra uomini e computer. Questa premessa costituisce il punto di partenza del mio modo di fare scuola a proposito dei computer e mediante i computer. Implicitamente includo anche l’intelligenza artificiale tra le categorie associate al computer poiché essa non è altro che una tra la miriade di funzioni che un computer può implementare. Nella nostra epoca i computer sono ovunque, da tempo è stata abbondantemente oltrepassata la fatidica soglia dei 4.294.967.296 di indirizzi di rete IPv4 che consentono a un calcolatore di partecipare alla rete Internet. Un computer richiede un indirizzo univoco per essere in rete e il superamento di quella soglia significa che ormai gli indirizzi disponibili sono finiti 1. Sulla Terra la popolazione dei computer ha superato in numero quella degli esseri umani e quella di molti altri esseri viventi che sono sul pianeta da milioni di anni: smartphone, personal computer, workstation, server, dispositivi smart con cui interagiamo ogni giorno, robot, computer indossabili sono così diffusi, ma al contempo così diversi tra loro per forma, aspetto e caratteristiche che un moderno Linnaeus cadrebbe nella tentazione di classificarli secondo una nomenclatura binomiale e di dedicare loro almeno un’appendice del Systema Naturae. In fondo si tratta di esseri, in quanto esistenti nel mondo fisico, che mediante la rete comunicano tra loro in un vero ecosistema artificiale. Mediante interfacce visive, sonore, tattili, schermi, dispositivi di realtà aumentata, brain-computer-interface2, essi interagiscono con gli Homo Sapiens presenti sulla Terra. Sia la nostra società che la Terra sono state modificate dai computer: per quanto riguarda la prima, il cambiamento è sotto gli occhi di tutti, per quanto riguarda la seconda, servirebbe una trattazione a parte, ma ricordo soltanto come le reti di computer, o meglio le spine dorsali di Internet, abbiano già colonizzato i luoghi meno ospitali per gli Homo Sapiens: i fondali oceanici con cavi sottomarini3 lunghi decine di migliaia di km e lo spazio con i satelliti per le telecomunicazioni4. È chiaro che i computer e tutto quello che comportano, tra cui l’intelligenza artificiale, sono destinati a rimanere. Mi permetto di tradurre liberamente Seymour Papert, quando nell’introduzione di Mindstorms scrive che il computer è il Proteo delle macchine: nella mitologia greca, Proteo, genio marino, è un oracolo dalle molte e cangianti forme, divinità del mare, dei fiumi e delle distese d’acqua che conosce tutte le cose vere, le passate, le presenti e le future. Forse Proteo aveva già previsto i cavi sottomarini che ci permettono di navigare sul web? Papert continua scrivendo che l’essenza del computer sta nella sua universalità e nella sua potenza di simulazione; il computer può avere migliaia di forme, implementare migliaia di funzioni, soddisfare migliaia di gusti diversi. Insisto ancora nel citare Papert perchè Mindstorms e il costruttivismo sono tra le pietre miliari del mio fare scuola: “ma c’è un’enorme differenza tra cosa permettono di fare i computer e cosa la società sceglierà di fare con loro”. “Nella mia visione i ragazzi programmano il computer e nel farlo, sia acquisiscono un senso di supremazia su uno dei prodotti della più avanzata e potente tecnologia, sia stabiliscono un contatto intimo con alcune delle idee più profonde delle scienze, della matematica e dell’arte di costruire modelli mentali.” In quanto docente, condivido il pensiero di Papert e apprezzo le idee, almeno quelle iniziali, di alcuni tra coloro che furono artefici della diaspora dei computer tra gli uomini. Un famosa citazione di Steve Jobs recita “il computer è equivalente a una bicicletta per la nostra mente”5: la combinazione uomo-bicicletta costituisce uno dei più efficienti sistemi di locomozione del regno animale, battuto soltanto da qualche animale migratore. Ritengo questa citazione tanto semplice quanto profonda, ma profonde sono soprattutto le sue implicazioni. La bicicletta è un mezzo del tutto inutile senza un essere umano in sella, da sola non può nulla. Ma l’uomo capace di tenerla in equilibrio e disposto a fare la fatica di pedalarla a lungo si ritrova una capacità di locomozione enormemente amplificata. Anzi, la bicicletta stessa allena l’equilibrio e la resistenza, abilità che l’uomo possiede a prescindere; pedalare una bicicletta non fa dimenticare come si cammina quando la bicicletta non c’è, l’uomo è padrone della bicicletta, la bicicletta è al servizio dell’uomo. Per quanto io ritenga pernicioso l’uso delle metafore come base per il ragionamento, in quanto spesso traspongono concetti non traducibili in linguaggio differente portando a conclusioni assurde, in questo caso metto da parte la mia tendenza a smontare le metafore, tipica dei fisici, e mi sento di assimilare in qualche misura il computer a una bicicletta. Purtroppo è sotto gli occhi di tutti come questa metafora non rispecchi affatto il rapporto uomo-computer che va per la maggiore: una società popolata da una cospicua percentuale di analfabeti funzionali non possiede la supremazia sul calcolatore citata da Papert, non ha le competenze per essere controllore del computer, colloca la macchina al rango di oracolo mitologico, come fosse un moderno Proteo.

Perché insegnare l’IA

L’intelligenza artificiale, per come si configura nei confronti dell’utilizzatore, rischia l’assimilazione a oracolo divino ancor più del computer. Le trame del rapporto tra computer e uomini sono le medesime attorno alle quali si costruisce il rapporto tra intelligenza artificiale e uomini, con la differenza che ora è esplicito che la macchina sia dotata di autonomia nell’analizzare ciò che la circonda e nel compiere azioni che le permettano di raggiungere obiettivi. Il computer diventa capace di apprendere autonomamente. Per questo la mia premessa risulta ancora più appropriata, soprattutto per il docente che si accinga a parlare di IA in classe. L’IA dovrebbe essere nulla più che una bicicletta che l’uomo impara a governare e pedalare con fatica al fine di portare ancora più il là il suo pensiero, al fine di amplificare le sue abilità cognitive, al fine di trarne beneficio per se stesso e per gli altri. Rispetto al computer, essere in quanto esistente nel mondo fisico, l’IA è circondata da un alone che la relega a una categoria di essere superiore: in una recente intervista6 Manuela Veloso - ex insegnante della Carnegie Mellon University e attuale capo del laboratorio per la ricerca sull’intelligenza artificiale di J.P. Morgan - afferma che serve un'alleanza tra uomini e intelligenza artificiale e motiva la necessità di conoscenza della IA in nome di questa alleanza. Solitamente l’alleanza avviene tra esseri alla pari. È fuori discussione che, come in qualunque altra relazione tra entità diverse, la conoscenza reciproca sia imprescindibile: per questo, approfondire il rapporto tra uomini e IA è importante, ma personalmente auspico che non si tratti mai di un rapporto alla pari. Lo sviluppo tecnologico attuale dei computer e delle reti è a uno stadio in cui l’intelligenza artificiale sta iniziando ad avere una discreta conoscenza degli umani, forte della enorme mole di Big Data che la società umana produce ogni giorno, ma non si può dire il contrario. Gli uomini in fondo non conoscono così bene l’IA; essa è dominio di pochi: scienziati, ricercatori ed esperti del campo. Ormai è evidente che l’intelligenza artificiale è qui tra noi per restare proprio come è stato per i computer, quindi la sua conoscenza non è più rimandabile. L’IA deve essere una competenza chiave per i giovani, non soltanto per quelli di loro che saranno scienziati, esperti o ricercatori, ma per tutti i cittadini del domani. L’insegnamento dell’IA dovrebbe entrare nelle scuole di ogni ordine e grado toccando le competenze di educazione civica, di etica, pensiero computazionale, di coding, di matematica e di informatica. L’impatto che questa tecnologia poteva avere sulla società fu chiaro prima ancora che si riuscissero concretamente a realizzare dei sistemi di IA e oggi conosciamo concretamente che i rischi legati a un suo uso, anche non doloso, non sono trascurabili.

Come insegnare l’IA

Si tratta di una domanda tutt’altro che chiusa, alla quale rispondo con un tentativo di approccio, uno tra i possibili, cucito su misura per la mia realtà di docente di scuola secondaria presso il triennio della curvatura Informatica - Smart Robot di un ITIS. Comunque ritengo che la visione fondante descritta sin qui, con i valori in essa insiti, debba essere il punto di partenza per una didattica sull’argomento. L’assenza di valori forti e condivisibili che ritornino sempre uguali sotto diverse sfaccettature durante la pratica dell’insegnamento in classe, oppure l’assenza di una struttura portante solida rendono l’azione didattica vana o effimera. Nel mio caso, i temi principali inclusi nei piani di lavoro della disciplina di interesse sono tre: la storia della IA e le sue applicazioni, gli aspetti etici, il machine learning 2. La storia è importante non soltanto per la creazione di collegamenti multidisciplinari con le discipline dell’area umanistica, ma soprattutto perché fornisce una visione sequenziale della scienza e della tecnologia che sta dietro ciò che oggi chiamiamo intelligenza artificiale. Il nostro cervello è sede di pensiero simbolico e sequenziale, la complessità si costruisce per gradi e se viene meno la componente sequenziale, allora i nessi scompaiono e risulta impossibile afferrare la complessità. Lo studio della storia dell’IA mostra ancora una volta come non esista tecnologia che non poggi sulla scienza: le prime idee sulle reti neurali di McCulloch e Pitts (1943) furono embrionali per il perceptrone ideato da Rosenblatt nel 1957 che è l’elemento costituente delle reti neurali utilizzate oggi in così tante applicazioni. I contributi di grandi scienziati, come quelli suddetti, o come Alan Turing, Claude Shannon, Marvin Minsky, Seymour Papert sono sopravvissuti a due periodi bui della IA - i cosiddetti inverni dell’IA, in cui si persero le speranze di poter sviluppare sistemi davvero intelligenti - e dopo alcuni decenni li ritroviamo alla base della rivoluzione tecnologica che stiamo vivendo. Al centro di questa rivoluzione sta la moltitudine di applicazioni della IA nelle quali funzioni che prima erano di totale responsabilità umana ora sono delegate all’algoritmo. Seppur l’algoritmo, dotato di intelligenza artificiale, abbia limiti e imperfezioni nell’esercizio di quelle funzioni, esso può superare qualunque umano per velocità nella loro esecuzione e quindi per quantità di informazioni che questo possa processare. Questi due aspetti aprono numerose questioni etiche la cui trattazione entra a pieno diritto nell’insegnamento dell’educazione civica conformemente a quanto prescritto dalla legge del 20 agosto 2019, n. 92. Un algoritmo può fare una scelta etica? È possibile che l’IA vada fuori controllo? Perché un algoritmo può avere pregiudizi razziali o di genere? Il virtuale può essere confuso con il reale? I robot ci ruberanno il lavoro? Quanto inquina l’IA? Tutte queste domande sono affrontabili durante le attività didattiche di educazione civica sull’argomento, prestandosi particolarmente ad essere affrontate con metodologie come il debate strutturato.

Rimane infine la componente scientifica e tecnologica: come è possibile creare algoritmi che non siano programmati per svolgere un compito specifico, bensì che siano programmati per imparare a svolgere uno o più compiti? Come è possibile estrarre dai dati informazione utile all’apprendimento da parte di un algoritmo? Il machine learning7 risposte a queste domande e tira in ballo matematica e informatica. Nella mia attività didattica aiuto gli studenti a imparare come osservare analiticamente i dati facendo uso della statistica, come creare grafici rigorosi e rappresentativi, come utilizzare i dati per addestrare una rete neurale o una foresta casuale8. Insegno agli alunni il linguaggio di programmazione Python, uno dei più utilizzati in questo ambito, mediante il quale si cimentano nella creazione di algoritmi intelligenti. Questa è ovviamente la parte più ostica: richiede ottime competenze pregresse di coding e competenze di matematica del triennio della scuola secondaria di secondo grado. Ma la complessità non deve spaventare perché in fondo la scuola deve nutrire l’immaginazione dei giovani e per farlo deve fornire bellezza sia etica che estetica. Sappiamo che le categorie della bellezza sono complesse, l’amore è più complesso dell’odio, la pace è più complessa della guerra; per questo bellezza e complessità costituiscono una diade che noi docenti non dovremmo mai spezzare.

Copyright 2023 by Simone Conradi and licensed under a Creative Commons License Creative Commons Attribution 4.0 International License.

Pubblicato sul numero 3/2022 della Rivista pedagogica e culturale del Movimento di Cooperazione Educativa.


  1. Il problema della scarsità di indirizzi pubblici IPv4 è mitigato dalla tecnologia NAT che consente di moltiplicare gli indirizzi privati, ma la soluzione definitiva al problema è fornita dal protocollo IPv6, il successore di IPv4, che prevede 2^128 indirizzi possibili. 

  2. Si tratta di interfacce cervello - computer mediante le quali il computer può leggere in input le onde celebrali o segnali da esse derivati. 

  3. https://www.submarinecablemap.com 

  4. per ultimo https://en.wikipedia.org/wiki/Starlink 

  5. https://youtu.be/ob_GX50Za6c 

  6. https://www.repubblica.it/tecnologia/2021/04/28/news/manuela-veloso-serve-un-alleanza-tra-esseri-umani-e-intelligenza-artificiale-299492449/amp/ 

  7. Nel 1959 l’ingegnere elettronico statunitense Arthur Samuel utilizza questo termine per la prima volta nel suo libro Some Studies in Machine Learning Using the Game of Checkers, e lo definisce come branca dell’informatica che permette a una macchina di imparare a eseguire un compito senza essere esplicitamente programmata per farlo. In altre parole, con il machine learning (in italiano apprendimento automatico), si insegna al computer a svolgere un compito senza fornirgli la strategia risolutiva, che dovrà apprendere da solo. 

  8. Le foreste casuali (random forest) sono uno tra i numerosi algoritmi standard del machine learning: esse sono un’estensione dell’albero decisionale. Infatti le foreste casuali sono costituite da un gran numero di alberi decisionali e la predizione dell’algoritmo deriva da una votazione tra i diversi alberi costituenti la foresta. 

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